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Giulio Regeni – Tre anni senza verità

25 Gennaio, 2019 | scritto da Alessandra Zaccagni
Giulio Regeni – Tre anni senza verità
Dal mondo
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Erano le 19:41 del 25 gennaio 2016 quando Giulio Regeni veniva inghiottito dalle misteriose strade de Il Cairo.

Otto giorni dopo, il 3 febbraio, viene rinvenuto un cadavere ai margini di un’autostrada che troneggia solitaria nel deserto, collegando Il Cairo ad Alessandria: è il corpo di Giulio Regeni, o quel che ne rimane.

Il giovane ricercatore 28enne si trovava al Cairo per svolgere una tesi di dottorato sui sindacati indipendenti egiziani, nell’ambito del dottorato di ricerca che stava conseguendo presso la Cambridge University che lo aveva affidato all’American University del Cairo.

Nell’autunno del 2015 Giulio aveva ottenuto un finanziamento di 10mila sterline da una fondazione britannica che si occupa di progetti di sviluppo. Era una somma di denaro che Regeni avrebbe voluto devolvere a sostegno delle ricerche per il dottorato e come aiuto per le organizzazioni che stava analizzando. Uno degli individui da lui coinvolti è Mohamed Abdallah, uno dei leader del sindacato indipendente dei venditori di strada, che però si mostra interessato più ai soldi che al progetto in sé. Il 7 gennaio Abdallah denunciò Regeni alle autorità egiziane. Dopo la morte di Giulio, Abdallah ha raccontato a un giornale egiziano di averlo fatto per proteggere il suo paese, insistendo nel dire di non essere una spia.

Gli inquirenti egiziani propendono in un primo momento per l’ipotesi di incidente stradale, che verrà poi archiviata per dare spazio a quanto emerso dagli interrogatori condotti sulle persone vicine a Regeni, soffermandosi su dettagli relativi alle sue inclinazioni sessuali: si apre la pista di un delitto passionale.

È soltanto quando il feretro farà ritorno in Italia che l’autopsia condotta dai medici legali farà emergere una verità crudele e agghiacciante: il corpo di Giulio Regeni risulta massacrato dalla frattura di un polso, delle scapole, dell’omero destro, delle dita delle mani e di quelle dei piedi, dei peroni e dalla rottura di numerosi denti. Come rilevato da un’inchiesta condotta da Giuliano Foschini il corpo appariva inoltre marchiato da segni di incisioni di lettere dell’alfabeto a livello del dorso, dell’occhio destro nonché sul sopracciglio, sulla fronte e sulla mano sinistra. Ma il colpo finale gli sarà inferto soltanto circa dieci ore prima del ritrovamento: una singola torsione delle vertebre cervicali ad opera di un professionista con una formazione militare o paramilitare.

La sera del 25 gennaio Giulio avrebbe dovuto raggiungere un caffè di Piazza Tahrir alle 20:30 per festeggiare il compleanno di un amico, ma non raggiungerà mai la meta, scomparendo in metropolitana.

In Egitto il 25 gennaio non è una data come le altre: ricorreva il 25 gennaio 2016 il quinto anniversario della rivoluzione del 2011, quella che portò alla caduta di Mubarak e alla successiva ascesa dei Fratelli Musulmani, il cui governo è stato poi soverchiato da Al-Sisi. Inoltre, nelle ore precedenti la polizia egiziana aveva compiuto migliaia di perquisizioni per bloccare iniziative e proteste proprio contro il governo del presidente Abdel Fattah Al-Sisi.

Le autorità egiziane inizieranno uno sporco gioco di depistaggio ed ostracismo, dall’eloquente sapore d’insabbiamento.

I filmati delle telecamere a circuito chiuso della stazione della metropolitana di quella serata risulteranno essere stati già cancellati quando la procura di Giza li richiederà, i testimoni non potranno essere interrogati dagli inquirenti italiani se non per pochi minuti ed in presenza di agenti egiziani.

L’opera più clamorosa di depistaggio verrà condotta al ritrovamento degli effetti personali e dei documenti di Giulio, il 24 marzo 2016: il ministro dell’interno egiziano comunica tramite post su Facebook che i colpevoli della morte di Regeni sarebbero quattro membri di una banda criminale specializzata nel “fingersi agenti di polizia, nel sequestrare cittadini stranieri e rubare loro i soldi.” I sequestratori, tutti uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia, non potranno fornire la loro versione.

Per quale motivo un gruppo di criminali avrebbe dovuto torturare Giulio Regeni per otto giorni dopo averlo rapinato?

Le autorità egiziane non saranno mai in grado di rispondere a tali domande.

A seguito della mancata collaborazione, dei depistaggi e della tensione nei rapporti tra i due paesi, il governo Renzi deciderà di ritirare l’ambasciatore italiano in egitto Maurizio Massari. Una carica che verrà poi ricostituita dal governo Gentiloni, impersonata da Giampaolo Cantini.

Allo stato attuale delle cose, le indagini risultano ancora ad un punto morto, nonostante l’infittirsi di visite diplomatiche e rapporti soprattutto di natura commerciale, come di recente dichiarato dal portavoce di Amnesty International.

Risale a dicembre scorso l’ultimo tentativo della procura di Roma di ascrivere al registro degli indagati cinque individui tra i quali ufficiali dei servizi segreti civili egiziani ed agenti della polizia investigativa egiziana.

Respinto quest’ultimo tentativo, le indagini risultano ad una impasse causata dall’immobilismo e dalla collaborazione vaga, a tratti inesistente e soprattutto poco produttiva del governo egiziano.

Tre anni in cui Paola e Claudio Regeni non hanno potuto esercitare il diritto di rendere giustizia alla memoria del loro unico figlio.

Tre anni in cui il governo italiano sembra piegarsi al diktat di un governo, quello egiziano, che derogando alle norme di cooperazione internazionale pone veti e rifiuta una collaborazione doverosa, a cui non importa di scrostare di dosso la polvere di sospetti ed accuse.

Giulio Regeni ed il suo massacro gridano, implorano verità, e così tutti i cittadini dello Stato italiano che dal 25 gennaio 2016 hanno perso non soltanto un connazionale, ma anche una parte di sé stessi.

 

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