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venerdì, 19 Aprile 2024
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“Il bacio della vedova” di Israel Horovitz

La recensione dello spettacolo teatrale a cura di Damiano Landriccia

Sento il bisogno di rendere omaggio non al testo di Israel Horovitz “Il bacio della vedova” ma alle vite che racconta.
E devo premettere che nel teatro le vite non possono agevolarsi dell’attenuante della finzione cinematografica.

Si diventa inesorabilmente ciò che si interpreta sul palco, è un meccanismo recitativo inconscio e spietato: ci si porta addosso il fardello e le gioie del personaggio sino alla fine mischiandolo con la verità della propria vita.
Il testo non adopera solo narrativamente l’espediente di una presunta violenza sessuale di gruppo, comincia la costruzione emotiva dei personaggi attraverso una atavica, incompresa, immatura amicizia.

La morte interiore, traumatica, diventa una morte fisica.
M. Heidegger nel “Tempo a tempo” ha scritto: “Ogni essere deve assumersi in proprio la propria morte. Nella misura in cui la morte è, essa è sempre essenzialmente la mia morte”.
Sono tre gli attori coinvolti, due giovani uomini e una giovane donna.
Esasperata verbalmente e fisicamente è la presenza di Michele Schiano Di Cola e Alessandro Lussiana: due esseri umani differenti, uno incompreso, oppresso da un amore adolescenziale e da un vissuto sentimentale precario; l’altro arrogante, mascolino sino alla prepotenza e senza una identità affettiva. Una amicizia tra loro ipocrita, opportunista, forzata dalla reciproca solitudine.

Lei, Diletta Acquaviva: quasi timida, contorta tra il bisogno di riscattarsi moralmente e l’accettazione di quanto non riesce e può cambiare di sé. Vuole il perdono di chi le ha fatto del male ma in realtà non riesce a perdonare se stessa a dimenticare. Desidera uscire da un abisso ma autolesionisticamente ci si sofferma.
Ecco, il verbo di questo viaggio teatrale è “perdonare”.
L’incapacità di perdonare e perdonarsi e il male che ne consegue.

La regista Teresa Ludovico ha affermato di aver rivisto con rispetto il testo, di avere qua e là quando necessario “tagliato”: non posso che confermare e lodare la scelta di abbandonare la vicenda scenica agli attori, di autorizzarli a sporcarsi così come sentivano il cuore con le tre vite create con l’inchiostro.
Mentre lo guardate dovete cercare l’introspezione de “l’umano nell’uomo” come affermava Grossman.

È teatro che richiede a posteriori un dialogo chiarificatore, un fermarsi a porre domande e ad avere risposte. Teatro adulto, di qualità.

A cura di Damiano Landriccia

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