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Shenyang tra tradizione e innovazione

20 Marzo, 2015 | scritto da Chiara Rutigliano
Shenyang tra tradizione e innovazione
Attualità
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Trasportati dalla metro e presi dai discorsi sulle derivazioni storiche della festa della lanterna che ha chiuso, il quinto giorno di Marzo, le festività legate al nuovo anno della capra regalandoci la prima luna piena dell’anno, l’impatto con la Shenyang metropoli, dopo circa un’ora di viaggio, eccolo arrivato. Il vento gelido ci fa sgranare gli occhi, quasi ci risveglia dal torpore sotterraneo.

Enormi gigantografie pubblicitarie, arroganti grattacieli con luci al neon abbaglianti, centri commerciali a più piani, ristoranti d’ogni fattezza e specie. Le grandi multinazionali, le grandi firme, una moltitudine indefinita di cinesi che si aggira tra negozi, compra, spende, mangia. Da buona metropoli che si rispetti, vive di profonde contraddizioni, cresce nel tentativo di mantenersi stretta alle proprie tradizioni, nutrimento e appiglio, ma non dimentica che non si può vivere solo di questo e allora demolisce e costruisce, ridemolisce e ricostruisce, spende nell’innovazione e nel progresso. La realtà dei fatti è che la corsa alle costruzioni in Cina, guidata in tal senso dalle riforme di apertura del paese verso la fine degli anni Settanta del Novecento e in particolare a partire dal nuovo millennio, difficilmente è in armonia con l’aspetto culturale delle città, che a Shenyang (antica Mukden, capitale mancese) trova spazio nei templi religiosi, nel palazzo imperiale, nelle varie costruzioni risalenti all’epoca dinastica. Proprio in una traversa di zhongjie 中街, centro della metropoli, è situato il palazzo imperiale. Proprio a shifuguangchang 市府广场, quartiere economicamente attivo (banche, aziende ed uffici) si trova il Huangsi 黄寺, il Tempio Giallo. L’ingresso in un tempio buddhista coinvolge ogni uomo in una dimensione di religioso silenzio e contemplazione votiva senza precedenti. La nostra presenza attira, come spesso accade in città cinesi non diffusamente frequentate da occidentali che non siano Pechino o Shanghai, l’attenzione di un anziano scrittore sulla sessantina che non rinuncia a farci da guida per tutto il percorso. Lao Guo, questo il suo nome, ci spiega che la pronuncia tonale di Emituofo, il Buddha a cui è votato il tempio, si accompagna a dei gesti con la mano che hanno come obiettivo ultimo il raggiungimento di uno stato di assoluta quiete interiore, partendo dalla mente fino ad arrivare al petto. Ci lascia confessandoci un’innata passione per il volo e gli uccelli, e proprio sulla prima pagina del suo libro, regalatoci poi, ci augura in un giorno non molto lontano di volare ancora dall’Italia alla Cina. Sotto le alte statue del tempio, dipinte a tinte forti, notiamo piccole arance, caramelle e arachidi in dono, bottiglie varie e ben due teste di maiale, odore di incenso ovunque. Tutti i sensi sono coinvolti. Eppure basta alzare di poco la testa per accorgersi che proprio lì, a pochi metri dal tempio, dispettoso, vi è un grigio grattacielo.

È una Shenyang che, pur essendo da sempre città industriale, si allarga, come un grande albero cerca di conservare il legame profondo con le radici, ma cresce in modo esponenziale allungando così i propri rami.

Chiara Rutigliano

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