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RELIGIONE? NO, GRAZIE

29 Maggio, 2015 | scritto da Chiara Rutigliano
RELIGIONE? NO, GRAZIE
Attualità
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“Se Gesù è davvero figlio di Dio, come mai non è nato in Cina?”: è questa la domanda che i cinesi ponevano ai Gesuiti giunti alla corte di Pechino nel Seicento. L’impero al centro del mondo (“Zhongguo”, “Cina”) ha sempre fatto fatica ad accogliere qualcosa o qualcuno proveniente dall’esterno, soprattutto se questo “qualcuno” – un figlio di Dio, ad esempio – poteva rischiare di mettere in ombra l’onnipotente e il vero “figlio di Dio”, l’imperatore, su cui poggiava la società. Per questo l’evangelizzazione in Cina ha sempre avuto bisogno del permesso imperiale per diffondersi, rischiando di scomparire quando il potere politico si è sentito minacciato. Il cielo delle religioni in terra cinese è storicamente coperto dal taoismo e dal buddhismo; questo ha comunque permesso nel corso dei secoli, e non senza difficoltà, a diverse forme di credo religioso di entrare in contatto con la cultura spirituale più che profondamente religiosa cinese.

I rapporti religiosi tra Roma e Pechino, disseminati di passi falsi e di appuntamenti mancati lungo la storia, risalgono al VII° secolo. Non si tratta di monaci o abati europei però. Sono monaci siriani, provenienti forse da Baghdad, giunti sulla rotta delle carovane a Chang’an, all’estremità della Via della Seta. Dalle pur scarne notizie tramandatesi nel tempo, si intuisce la capacità di questi monaci di “inculturarsi” nel mondo cinese allora dominato dalla scoperta del buddhismo. In quella società fortemente gerarchica, essi non hanno schiavi, non discriminano le donne, mettono in comune le ricchezze. Il vero e proprio miracolo, dopo vari tentativi francescani nel XIII° e XIV° secolo, avviene con Matteo Ricci e un altro gesuita, Michele Ruggiero: entrambi risiedono per decenni nel Guangdong e poi, grazie alla loro cultura, vengono accolti nel 1601 alla corte di Pechino. Ricci conosce alla perfezione la lingua cinese, studia i classici e scrive saggi di filosofia e morale cercando di avvicinare la visione del mondo confuciano cinese a quella cristiana. Alla Compagnia a cui appartiene Ricci, ai Gesuiti appunto, si deve la diffusione in Cina delle nuove scoperte scientifiche, sia nella fisica che nella astronomia, e di quelle tecnologiche (la fusione dei cannoni, l’irrigazione), la geometria e perfino l’arte della prospettiva e il chiaroscuro nei dipinti.

La casa di Matteo Ricci a Pechino, a sud del palazzo imperiale, è il primo pezzo di territorio cinese concesso ad uno straniero. La presenza dei gesuiti e il benvolere degli imperatori porterà la comunità cristiana di Pechino a superare i centomila fedeli nel XVIII° secolo. Oggi la situazione è diversa e ne parlo con Padre Giovanni. Il volto scavato dai suoi settanta anni, i capelli corti e bianchi e una lunga barba grigia. Quando chiedo di parlargli mi sorride dall’alto dei suoi occhialoni gialli e da buon gesuita risponde alla mia domanda con un’altra domanda, tipica “tecnica” discorsiva e dialogica. “Perché non dovrei?”. Non so se per l’incredibile somiglianza a mio nonno o per l’atmosfera, o per altro ancora, fatto sta che in quel momento ho percepito la sua grandezza e la sua umiltà più di tutto il resto. Padre Giovanni è nato in Spagna, ma ha vissuto in Italia per molto tempo perché parte di una piccola comunità di monaci a Cesena, in Romagna. Parla spagnolo, arabo, cinese e inglese. Mi dice che il numero dei cristiani in Cina oggi è ancora poco elevato e che nella sua comunità a Shenyang ci sono soprattutto cristiani d’oltremare, francesi, tedeschi e tanti africani. Il punto fondamentale è che ha incontrato non poche difficoltà nel fondare questa comunità di cristiani perché “niente può destabilizzare l’ordine”, le procedure sono lente ed estremamente minuziose e l’idea che  possa esserci una fede, lontana e importata, potenzialmente capace di “distrarre”, non piace per niente al governo. Ma malgrado le costrizioni imposte da un regime fondamentalmente ateo, oggi ce l’ha fatta e aiuta come può la gente del posto. Il numero di protestanti è superiore, mi spiega ancora, anche se molti sono “underground”, preferiscono non praticare il credo apertamente. Legge nei miei occhi lo stupore, e a tratti anche l’incredulità provata dopo aver partecipato alla prima messa gospel della mia vita, in Cina.
Mi congedo da lui dopo poco, rifletto. La Cina è sempre più un’alchimia imperscrutabile. Compresa in un perimetro in cui convivono tradizione e modernità, vecchi imperatori e nuovi imperatori, nessuna religione ufficiale e tanti credi, chiusa per secoli e ora aperta ai nuovi fermenti, e così via, di contraddizione in contraddizione, o se si preferisce, di apparenti stop and go. Solo apparenti, gli stop. Anche qui l’essenziale non si vede, passa sotto traccia.

Chiara Rutigliano

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