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Trani – «Enzo Tortora. Una ferita italiana». Testimonianze e ricordi nel docufilm del regista Crespi

23 Maggio, 2016 | scritto da Antonella Loprieno
Trani – «Enzo Tortora. Una ferita italiana». Testimonianze e ricordi nel docufilm del regista Crespi
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10 anni di reclusione in primo grado, poi l’assoluzione in appello. E’ l’epilogo di uno dei più grandi errori giudiziari ad oggi commessi, come è stato più volte ribadito nel caso di Enzo Tortora, il conduttore televisivo del popolarissimo programma “Portobello”. Da Tortona a Tortora ce ne passa, eppure un refuso del genere ha portato all’arresto più di 30 anni fa e poi, dopo la scarcerazione, alla morte, il famoso conduttore. Era il 17 giugno del 1983 quando, alle 4 del mattino, i carabinieri entrano in una camera dell’Hotel Plaza di Roma e portano via, arrestandolo, Enzo Tortora.

Per meglio comprendere cosa è accaduto quel giorno, presso il Polo Museale è stato proiettato docufilm «Enzo Tortora.Una ferita italiana» e a seguire un dibattito a cui hanno partecipato Francesco Boccia, presidente della commissione bilancio e Valerio Federico tesoriere dei radicali italiani, la cui segreteria nazionale ha organizzato l’evento.

«Del caso Tortora, la giustizia non ne ha saputo fare un esempio . Lo stesso errore di allora, può accadere anche oggi  e i magistrati del Tribunale di Napoli , che hanno creduto alle accuse di due pentiti, sono rimasti impuniti – ha dichiarato Valerio Federico-. I partiti non hanno inserito la responsabilità civile dei magistrati perché senza la pressione dell’Europa, non si fa niente. La giustizia italiana  è rimasta  all’epoca di Enzo Tortora, un uomo del futuro che è sempre stato un passo oltre tutti».

Nel documentario del regista Ambrogio Crespi scorrono immagini e testimonianze toccanti. «E’ una pagina nera della giustizia italiana», viene ribadito a gran voce e che «la magistratura non voleva colpirlo. E’ stata una non corretta valutazione delle risultanze processuale a privare un uomo della sua libertà».  Tortora in una delle sue udienze dichiara: «Io sono innocente e io spero che lo siate pure voi», rivolgendosi ai magistrati. 10 anno di reclusione la sentenza. È la sconfitta della giustizia. Francesca Scopelliti, legge una lettera del suo compagno Enzo Tortora.  «Voglio battermi fino all’ultimo perché sono innocente». Dalle testimonianze del suo avvocato , emerge un uomo dalla dignità incredibile. Toccante è la lettura della sentenza in appello. «Innocente», e Tortora scoppia  a piangere.

Esce di galera e si candida nel partito radicale e combatte per la responsabilità civile dei magistrati e per un’Italia più giusta.  Tra le sofferenze, a colpire mortalmente Tortora,  fu  la condanna dell’opinione pubblica nonostante la sua «assoluta estraneità» ai fatti. La sua lotta politica ebbe il suo apice nel referendum radicale del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati, che gli italiani votarono favorevolmente all’80%. Muore il 18 maggio 1988.

 

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