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Trani – Ridondanza e formazione nella scuola moderna. Le riflessioni di Nathascia Amoruso

15 Novembre, 2016 | scritto da Chiara Rutigliano
Trani – Ridondanza e formazione nella scuola moderna. Le riflessioni di Nathascia Amoruso
Attualità
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Di notevole scalpore sarebbe entrare nelle scuole e respirare quel clima di muffa che tutt’oggi gli studenti respirano. Sarebbe bello se,al posto di fare riforme campate in aria, il ministro dell’istruzione si avvicinasse ad un professore e ad uno studente e gli chiedesse che cosa ne pensa della scuola.
In seguito alla legge 107, il malcontento tra studenti e docenti è cresciuto notevolmente ma è un disagio celato poiché i funzionari dello stato tendono ad applicare le leggi senza tener conto di cosa stanno facendo, senza pensare al futuro. Il futuro è dei giovani, i quali, pur continuando a lamentarsi, non fanno nulla affinchè il governo li ascolti. Gli studenti chiedono di farsi sentire ma sono ignorati, in primis, da presidi deboli, i quali non fanno altro che parlare di competenze digitali, linguistiche e di cittadinanza. Molti docenti e la maggior parte dei dirigenti che governano le scuole italiane si adeguano in quanto funzionari dello stato ed esecutori delle leggi in vigore. Sorge spontaneo domandarsi che cosa succederebbe se tutte le leggi, approvate da un governo che non ha eletto il popolo, fossero applicate? Considerando che la storia si ripete in forme diverse, secondo il filosofo G. Vico, si potrebbe far riferimento al periodo immediatamente successivo al nazismo. Infatti, nel processo di Norimberga, ai generali tedeschi venne chiesto il perché avessero aperto le camere a gas.
“Noi eravamo semplici funzionari dello stato: a noi veniva chiesto di applicare le leggi, non di decifrarle.’’ Risposta sconcertante. Inutile dire che la legge 107 non si mostra coercitiva nei confronti di tutta la società, non è una legge razziale, non è una legge che viola i diritti naturali ma va a ridimensionare il tempo che dovrebbe essere dedicato all’apprendimento delle discipline, al pensiero critico degli alunni nei confronti degli studi che di volta in volta vengono affrontati. Basti pensare all’alternanza scuola-lavoro. Questa va a sottrarre diverse ore di lezione per permettere agli studenti di confrontarsi con la realtà in cui sono immersi. Nella maggior parte dei casi però questa si rivela un fallimento. Prima di tutto parlare oggi di lavoro, fondamento della Repubblica italiana (Costituzione, art.1), è un’utopia; in secondo luogo molti studenti lo vedono come un passatempo, come un’opportunità per saltarsi ore di lezione, non accorgendosi di dover comunque affrontare programmi vastissimi in poco tempo e dovendosi confrontare, prima o poi, con lo studio. Le difficoltà però non si riscontrano soltanto per quanto riguarda gli alunni; anche gli insegnanti sono sempre più costretti a fare dei tagli nei programmi, a non lasciare molto spazio agli alunni e a portare avanti questa storia delle competenze.
Il governo sembra non essersi reso conto che le competenze digitali, linguistiche e di cittadinanza sono intrinseche ai programmi scolastici. Gli studenti, da diversi anni a questa parte, si confrontano con gli strumenti digitali, parlano una lingua straniera e collaborano in gruppo. Portare avanti progetti in cui queste competenze vengono ancor di più esaltate è nocivo per tutti. È dannoso stare davanti al computer e parlare una lingua internazionale senza pensare alla ricchezza del nostro linguaggio. Le competenze di cittadinanza che, a grandi linee, prevedono lo stare in gruppo, il mostrarsi leader e il collaborare con soggetti caratterialmente differenti da noi, possono essere verificate giorno per giorno dagli stessi docenti durante le ore di lezione.
La nostra è l’era del fare senza pensare. Bisogna fare anche quando le cose sono sbagliate, pur essendo coscienti che le cose possano precipitare da un momento all’altro.
In questa politica del fare non c’è più spazio per il pensiero critico: bisogna abbassare la testa e applicare. Numerose discipline scolastiche oggi vengono indicate come inutili per la vita. Basti pensare alla storia, alla filosofia, alla letteratura, alla cultura greca e latina. Non ci si accorge più che le materie con cui gli studenti di volta in volta si confrontano a scuola sono collegate tra loro da un filo sottile: la grammatica latina dà un rigore logico necessario nelle discipline scientifiche, la storia è utile alla vita per non far di nuovo gli stessi errori, la filosofia stimola il pensiero critico necessario anche nelle scienze. Buoni pensatori, con un buon metodo di studio, possono dedicarsi alla matematica, alla fisica, alla chimica, all’economia, al diritto e a tutte le discipline presenti sul globo terrestre. La Riforma Gentile mirava a creare un popolo colto che potesse applicare i propri studi a tutte le vicende che il quotidiano ci presenta. Il liceo scientifico fu istituito per dare la possibilità a chi non amava il greco di avere lo stesso rigore logico con lo studio del latino. Diminuire le ore di lezione o ridurre gli anni del liceo significa non permettere agli studenti di avere una buona formazione ed un buon metodo di studio applicabile nella vita.
In questa politica del fare la scuola deve essere utile alla vita. Si parla sempre più di scuola che serve, non di cultura utile alla vita, alla vita di tutti i giorni.
Bene questa è la realtà scolastica italiana, questo è quello che insegna la scuola oggi. Socrate a volte, se non sempre, si rivolterebbe nella tomba e come dargli torto? Chi tira fuori il meglio dagli adolescenti, esiste ancora la maieutica? Contano ancora gli studenti che dicono la loro, che non imparano pensieri ma imparano a pensare, come direbbe Kant, che fanno ragionamenti pregnanti, che legano la cultura alla vita? Sono pochissimi i ragazzi che ancora pensano, che mettono da parte le competenze richieste a scuola. Questa scuola preferisce e pretende un pensare mnemonico ad un pensare intuitivo e coraggiosi sono coloro che si battono, che vanno contro un sistema che vorrebbe far di loro non macchine pensanti bensì macchine competenti nel ripetere. La cosa che lascia un po’ interdetti è la seguente: viviamo una realtà in cui tutto non ci piace, in una società nella quale va di moda un anticonformismo che alla fine diventa conformismo e chi si batte più? Vedere ragazzi che buttano i loro diritti e che si adeguano alle competenze che ne fa di loro un numero in una griglia, scoraggia perfino i più coraggiosi. Professori che non vedono l’ora di finire il programma in vista degli esami e magari rinunciano a portare i ragazzi ad un convegno, ad una rappresentazione teatrale o più semplicemente alla lettura di un libro in classe, possono essere chiamati insegnanti? Insegnare oggi significa far entrare dei concetti nella testa di un adolescente e se quest’ ultimo non apprende tanto vale bocciarlo: a chi importa se pensa, se è intuitivo? Il ragazzo diventa un numero.
È stato detto che la colpa è degli insegnanti perchè loro sono ipocriti: della serie ‘predicano bene e razzolano male’, se non malissimo. Ricordiamoci del discorso fatto il primo giorno di scuola, dalle elementari alle superiori: “Ragazzi, voi dovete imparare ad esprimere voi stessi e noi siamo qui per aiutarvi. Non serve essere delle mummie per avere il voto di condotta alto…” ma alla fine, realmente, cosa accade? Il dieci non lo prende chi ragiona, colui che potrebbe rivoluzionare un sistema anche da solo, ma chi sta zitto e ripete in modo coatto, chi ha delle competenze. Questi sono gli stessi insegnanti che quando ci sono i colloqui scuola- famiglia non parlano delle capacità immaginative, di astrazione, di intuizione di un ragazzo bensì dei voti, delle insufficienze, dell’applicarsi di più. Non dovrebbero chiamarla la scuola che ‘serve’ ma la scuola della retorica e dell’ipocrisia. Questi sono gli stessi insegnanti che sperano negli alunni quando il governo promuove una nuova riforma che a loro non sta bene e gli adolescenti di oggi sono gli stessi che si fanno strumentalizzare perchè, come un popolo ignorante è più facile da comandare, l’andare contro corrente fa paura alle istituzioni, il diverso fa paura agli insegnanti. I ragazzi non sono dei numeri, hanno un intelletto, non delle competenze: non sono delle macchine.
Professori fatevi sentire perché tutto questo va contro gli ideali in cui molti di voi ancora credono.
Studenti, svegliatevi perchè non è tardi e imparate a pensare e non dei pensieri, imparate ad essere voi stessi e a legare la cultura alla vita perchè non è con un cento e lode universitario che troverete lavoro ma è con l’intelligenza e la cultura che ci si spiana la strada per essere più di un semplice strumento umano.

Nathascia Amoruso

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