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Trani – Su “La Repubblica” botta e risposta Vavalà-Galimberti sulla condizione della scuola in Italia

14 Dicembre, 2016 | scritto da Antonella Loprieno
Trani – Su “La Repubblica” botta e risposta Vavalà-Galimberti sulla condizione della scuola in Italia
Attualità
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“Al liceo “De Sanctis” di Trani, fin dall’inizio dell’anno scolastico si è deciso di affrontare, con diverse modalità, il tema delicato e cruciale di un rapporto fecondo tra umanesimo e scienze, toccando ai confini tutte le discipline, riferisce il prof. Luigi Vavalà, docente di storia e filosofia del liceo. Ghiotta occasione per mettere al centro della riflessione con gli studenti, la crisi del dominio del metodo quantitativo e mettere argine all’autonomia assoluta della tecnica, svincolata dagli effettivi bisogni umani; ghiotta occasione per ridiscutere i paradigmi obsoleti del cognitivismo incapace di affrontare la complessità della vita umana. Il liceo “De Sanctis” ha avuto così la possibilità di indicare un orizzonte di nuove libertà e consapevolezze, per affrontare le drammatiche crisi moderne. Deve così iniziare un viaggio di ricerca e di studio e non di ossessioni modulari o didattiche o di competenze o di furia organizzativa. Così, continua il prof. Vavalà, avevo inteso il progetto. Un possibile respiro per ridare senso alla formazione umana”.
Tema, il rapporto tra umanesimo e scienze, proposto dal liceo De Sanctis che ha stimolato perfino il filosofo Umberto Galimberti che ha risposto ad un articolo del prof. Vavalà, apparso su La Repubblica – inserto Donna, di sabato 10 dicembre.
Il docente, dopo avere dato il via, su questo sito, alla rubrica “Ridondanza e formazione nella scuola”, con le riflessioni autonome di docenti, studenti e figure istituzionali, ancora una volta ha centrato l’obiettivo di mettere all’attenzione dell’opinione pubblica il mondo della scuola.

Nell’articolo del prof. Vavalà si legge:

Sento l’esigenza di esplicitare la combinata egemonia che si è consolidata nei nostri licei, rappresentata da una micidiale mescolanza di compulsione al monitoraggio e alla sorveglianza su ogni attività, febbre di uniformare tendenze e attitudini mentali, pedagogia tesa a eliminare la trama delle divergenze, in quella macabra danza di parole ricorrenti come: “omogeneo”, “uniforme”, “standard”, a volte “obiettivi minimi uniformi”. Ma una sventurata scuola che si intestardisce a misurare e classificare il tutto, togli il respiro. Se monitora tutto, uccide libertà e spirito critico, creando una gigantesca polleria d’allevamento, regolata da griglie valutative sadiche, comiche e prive d’oggetto, che rivelano solo una completa incomprensione della psiche umana, perché il sale della vita è rappresentato dalle differenze, dalla ricchezza delle facoltà umane e dalla specificità degli individui. Fortissimo è il mio disagio a scuola, dove tutto viene sorvegliato, uniformato, standardizzato. La libertà personale e critica non viene curata. I contenuti sono parvenze per alimentare una furia tremenda di controllo e manipolazione. L’informatica diventa un rumore di fondo, le competenze diventano funzioni, la padronanza sulle condizioni di vita è persa. Mi sento spaesato; non si discute più di storia e di filosofia, di matematica e scienze, di latino, di greco. Quando se ne discute, scatta subito la furia coatta di monitorare, misurare, creare i moduli. Andremo a sbattere, speriamo non in modo catastrofico.
Luigi Vavalà

Corposa la risposta del filosofo Galimberti che è in contatto con il prof. Luigi Vavalà per un incontro da tenersi a Trani:

Caro Professore, lei dice con estrema chiarezza l’abisso in cui va precipitando la nostra scuola che era una delle migliori al mondo, ma che pessimi pedagogisti, affascinati dal cognitivismo imperante di importazione anglo-americana, persuadendo i ministri abbastanza incompetenti o a loro volta affascinati dalla modernità che identificano con i modelli sudditi, stanno semplicemente distruggendo la “soggettività dei ragazzi” a favore dell’”oggettività delle prestazioni”. Qui a Milano so di licei classici dove non si fanno più temi, nè in classe e né a casa. Così della soggettività di ciascun alunno non si sa nulla e tanto meno della sua condizione emotiva così importante per la sua crescita. Al posto del tema la comprensione di un testo dove, a ogni parola incompresa, si scala un voto. Le interrogazioni sono sostituite da verifiche scritte, perché un’interrogazione è difficile da valutare, c’è in gioco la soggettività dell’alunno, e allora è meglio una prova scritta, dove gli errori sono lì belli evidenti, mentre in un’interrogazione uno può correggerli o approssimarsi al vero. Risultato: gli studenti, che già hanno un vocabolo miserabile, non hanno neppure l’occasione di metterlo alla prova in pubblico, e di poterlo arricchire ascoltando i compagni di classe. So anche che se ti è capitato un professore di matematica che non ha finito il programma, il professore che subentra l’anno successivo, non si fa carico delle lacune dell’anno precedente, perché gli studenti a fine anno hanno firmato come svolto un programma che non era stato svolto. E che deve fare uno studente quando l’ordine burocratico gli fa firmare i programmi? Al nuovo professore non interessano le lacune degli studenti, ma solo essere in pari con le altre classi nella svolgimento del programma. Già nel 1945 Renè Guénon individuava, come tratto tipico dell’Occidente il suo avviarsi verso il regno della quantità (Il regno della quantità e i segni dei tempi, Adelphi). perché la quantità è misurabile, mente la qualità soggettiva che caratterizza ciascuno di noi, no. E questo non accade solo nella scuola ma anche nelle diagnosi e nelle cure psichiatriche, che non avvengono più incontrando e parlando con le persone, ma applicando protocolli ricavati da statistiche (vedi la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico messo a punto
nel 2013 dall’American Psychiatric Association), Se ne deduce che per educare i giovani e per curare chi soffre di disturbi psichici prendere in esame e magari entrare in contatto con la “soggettività” dell’alunno o del disagiato psichico non serve, oppure è troppo difficile, oppure, ma forse soprattutto, non consente di pervenire a una “valutazione oggettiva” dell’alunno e del paziente in questione, come invece se ci si limita a valutare “le prestazioni” del primo e le residue competenze e abilità del paziente. In una parola l’uomo non conta più nulla, perché non si presta ad una valutazione oggettiva e quantitativa. Lo diceva già nel secolo scorso Spengler, e poi Heidegger, Jaspers, Gunter, Anders, rimasti inascoltati, nonostante al loro tempo la tecnica, che prende in considerazione solo oggettività e quantità, non fosse ancora così egemone com’è oggi e come sarà sempre di più. Alla scuola “umanistica”, qui intesa come formazione dell’uomo, il funerale è già stato fatto. E nessuno se ne è accorto.

Umberto Galimberti

One Comment

  1. Bettina Pisani says:

    Condivido e concordo con l’analisi svolta da entrambi…la scuola si disinteressa sempre di più della complessità e della crescita dei nostri ragazzi,s’invischia e affonda in griglie di valutazione fredde e anonime dimenticando l’uomo che si cela e cresce in ogni studente….cambiare questa scuola si può e si deve!

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