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Trani – Le riflessioni del prof. Vavalà sulla “Buona scuola”

25 Gennaio, 2018 | scritto da Redazione
Trani – Le riflessioni del prof. Vavalà sulla “Buona scuola”
Attualità
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La legge 107 del 2015 è stata chiamata “Buona Scuola” da chi l’ha formulata, forse per stroncare preventivamente possibili critiche. Che invece sono state moltissime e hanno coinvolto buona parte dei docenti. Anche gli studenti in più circostanze hanno protestato contro le modalità in cui viene organizzata l’alternanza scuola – lavoro.
Cosa non piace di questa riforma?
La scuola azienda
Innanzitutto l’aver aziendalizzato la scuola, ormai finalizzata ad allenare i ragazzi al mondo del lavoro, anziché puntare a formare cittadini consapevoli e menti critiche. E’ proprio necessario che la scuola, toccando l’età delicata dell’adolescenza e della primissima gioventù, tenda le sue forze a formare lavoratori inconsapevoli invece che uomini equilibrati in grado di affrontare le difficoltà della vita?
L’alternanza scuola – lavoro
Viene poi la già citata alternanza, forse l’aspetto più controverso. La legge stabilisce che gli studenti del triennio superiore svolgano durante l’anno scolastico un certo numero di ore – 200 per i licei e ben 400 per gli istituti tecnici e professionali – di stage lavorativo. Nella migliore delle ipotesi le ore settimanali di lavoro sono 40 (ma negli uffici se ne fanno di meno), per cui in questo modo si sottraggono agli studenti cinque o dieci settimane di lezione.
Ma di che lavoro si tratta? A questo riguardo le scuole cercano di organizzarsi come possono e il caos regna sovrano. Né è facile trovare, specie nella nostra realtà, datori di lavoro disposti a fare da tutor esterni.
Ma quale lavoro?
Il lavoro proposto agli studenti alla fine poco ha a che vedere con le loro aspirazioni. Spesso si tratta di mansioni banali o ripetitive. Nei casi peggiori abbiamo forme di sfruttamento di lavoro gratuito. Alcuni imprenditori si stanno organizzando e riescono a ridurre il numero di assunzioni potendo contare su questi lavoratori a costo zero. In discussione non è l’importanza del lavoro, ma la sua qualità e l’apporto dell’intelligenza inventiva.

Il peso della burocrazia

Il carico di burocrazia legato a questa attività è esorbitante. Frustrante per un docente, che preferirebbe parlare di contenuti culturali, doversi occupare di tutta la documentazione.

Aumenta la competitività

Un altro aspetto poco gradevole della “Buona Scuola” è l’aver decretato la fine della collegialità in nome di una competitività esasperata. Si vedono docenti affannarsi ad organizzare progetti per entrare nel novero di coloro a cui spetta il “bonus”. Questa gratificazione economica consiste in realtà di pochi euro, ma ha una grande valenza simbolica. La conseguenza è che gli studenti sono continuamente incalzati dai professori che gli propongono tanti interessanti progetti cui partecipare. Invece che fare lezione. Non sarebbe stato meglio incentivare la collaborazione tra gli insegnanti?

Meritocrazia

Insegnanti che, ci viene detto, devono accettare la meritocrazia! Ma il merito non consiste più nella passione culturale con cui trasmettere la propria materia agli studenti, né nella capacità di mettersi in relazione umana con i ragazzi. Viene considerato meritevole il docente più impegnato ad organizzare attività che diano visibilità all’istituto. Insomma quello che in classe, per un motivo o l’altro, ci sta di meno. Non ne parliamo poi di chiedere una valutazione sugli insegnanti a studenti o genitori: saranno sicuramente poco obiettivi!

La didattica delle “competenze”
Nelle indicazioni di metodologia contenute nella “Buona Scuola” si parla di “competenze di cittadinanza”. Di che si tratta? Dell’applicazione di un sapere in un dato contesto attuando i comportamenti più idonei alla produzione di un risultato. Insomma il sapere deve essere in relazione con il fare; lo studente deve sapere organizzare i dati dell’esperienza per capire cosa deve essere fatto e come per produrre il risultato migliore. La cultura non deve essere disinteressata ma deve servire ad ottenere obiettivi. I contenuti storici, scientifici, letterari, filosofici , artistici, musicali, devono dare un respiro umano o essere immediatamente sottomessi e funzionalizzati ad esigenze lavorative? I presupposti della ricerca scientifica e teorica devono trovare spazio adeguato? E i contenuti devono essere completamente sussunti dalla furia tecnologica?

Un ritmo sempre più incalzante
Aumenta, a questo punto, la pressione sugli studenti, sottoposti a richieste continue. Tra verifiche, interrogazioni, incontri pomeridiani, impegni progettuali, prove INVALSI, lavoro, gareggiano continuamente, mostrando un sempre maggiore distacco emotivo dalla scuola. Nella delicatissima formazione di una psiche matura non hanno più nessun ruolo sguardi calmi, contemplativi, poetici, lenti, per vivere in modo più sereno e senza la precoce pressione della ineluttabilità del reale produttivo?

Luigi Vavalà

Breve nota sull’autore:

Luigi Vavalà, docente di filosofia e storia al liceo classico di Trani, ha studiato all’Università di Pisa, con i Prof. Nicola Badaloni e Paolo Cristofolini, presentando una tesi sul giovane Antonio Labriola come studioso dell’Etica di Spinoza. Ha pubblicato articoli e saggi su Leopardi, Giordano Bruno, Nietzsche, Marx.
E’ membro della comunità scientifica dell’Officina dei saperi, fondata dallo storico Piero Bevilacqua.
Collabora al seminario permanente internazionale di studi sul pensiero di F. Nietzsche.

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