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Epidemie a Barletta nella storia: il flagello del colera fra borbonici e stato unitario

23 Aprile, 2020 | scritto da Redazione
Epidemie a Barletta nella storia: il flagello del colera fra borbonici e stato unitario
Attualità
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Come anticipato nell’introduzione e come raccontato in questo viaggio, è stata la peste ad occupare spazio quale morbo che sapeva di antico, di passato remoto, di contagio da sterminio di massa. Insomma di storie da “c’era una volta” tanto lontane nel tempo e così tanto sprovviste di riscontri sul metodo scientifico.
Oggi il protagonista è il flagello del colera nel mezzo secolo a cavallo fra gli ultimi anni borbonici e lo stato unitario, incrocia il massacro degli evangelici (marzo 1866) e il reclutamento dei garibaldini per la Terza Guerra di Indipendenza, per poi riprendere drammaticamente nei primi del Novecento: a proposito del confronto con le precedenti epidemie a Barletta nella Storia, memoria e memorie fra libri e documenti.
Prosegue il ”viaggio” con il giornalista Nino Vinella (Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia, Archeoclub d’Italia Onlus Canne della Battaglia Barletta) per ripercorrere tutte quelle pagine nei secoli spesso dimenticate ma utili al patrimonio identitario collettivo.

Due secoli dopo la grande peste del 1656, da metà e fine Ottocento con la città faticosamente in risalita economica e sociale, ecco un’altra malattia – epidemica quanto largamente infettiva – che ha spesso colpito disastrosamente Barletta: il colera. “Ricordo Barletta e la strage che quivi fece nel 1865, ’66 e ’67. La ricordo ancora nella terribile epidemia del 1886. La veggo ora…” dirà nel 1893 l’ufficiale sanitario Michele Mauro in un suo rapporto sulle condizioni igienico-sanitarie della città in quell’anno. Rapporto citato nel nostro viaggio grazie all’ormai introvabile volume di circa 600 pagine “Barletta: leggere la città” di Ruggiero Mascolo (lo studioso ex direttore di biblioteca e pinacoteca) e di sua moglie Rita Ceci, Edizioni Libreria Liverini per i tipi di Ars Graphica Barletta, settembre 1986 – dove, anche e soprattutto in questo caso di studio, sono riportati fedelmente dati e riscontri ufficiali d’archivio.

Nel mezzo secolo a cavallo fra gli ultimi anni di governo borbonico e lo stato unitario, Barletta registra un andamento di epidemie coleriche – da correlarsi tristemente al costo in vite umane in rapporto alla popolazione – così riassumibile: 1836 agosto-dicembre 840 morti su 21.500 abitanti; 1854 agosto-dicembre 640 morti su 24.160 abitanti; 1865 settembre-dicembre 822 morti su 30.000 abitanti; 1866 agosto-dicembre 131 morti su 30.000 abitanti; 1867 maggio-dicembre 1.520 morti sempre su 30.000 abitanti; 1886 luglio-settembre 1.000 morti su 37.000 abitanti; 1887 agosto-ottobre 20 morti su 37.200 abitanti. Con un totale deceduti di 4.973 persone. Il fenomeno in crescendo nel triennio 1865-1867, col picco in quest’ultimo anno, fu scientificamente analizzato e commentato dal dott. Nicola Sfregola (“Relazione storico-medica sull’epidemia colerosa di Barletta del 1865”) con individuazione delle cause predisponenti alla diffusione del contagio colerico nella stessa posizione geografica della città, nelle strade che continuavano ad essere malconce ed acquitrinose e dunque ne “la cinta di mura che chiude ancora la città, e che la fa stare in rapporto allo esterno nella conca già descritta”.

I barlettani colpiti dal morbo (partito da Alessandria d’Egitto e giunto ad Ancona per mare) ed a morirne furono annotati tra le prime vittime il 12 settembre 1865. Scrive Nicola Sfregola da medico attento alla situazione urbanistica barlettana subito dopo l’Unità d’Italia: “Si è avuto a notare che l’assalto choleroso nella città si sia diviso in due tempi… Fu primariamente invaso il quartiere al nord, nord-ovest per le sezioni Santa Maria, San Giorgio, Piazzetta, Vaglio, sino alla così detta Piazza del Santo Sepolcro… Quivi, ch’è nel bel mezzo del paese, il morbo segnò come una linea di demarcazione, oltre la quale, per circa 20 giorni, non vi furon casi… Al volgere dei 20 giorni… di botto videsi aggredita l’altra metà più popolosa, che si dilunga per l’occidente e pel sud fino al nuovo borgo”.

Questa parte della città, dal termine di Corso Vittorio Emanuele (già Strada Cordoneria, con la case di Giuseppe De Nittis e di Carlo Cafiero appena ventenni) oltre Borgo San Giacomo verso Canne, era ritenuta più salubre per la maggiore ampiezza delle strade e perché battuta dallo scirocco: pertanto si pensava che non sarebbe stata colpita dal morbo. La diffusione che esso tuttavia vi ebbe fu attribuita alla presenza massiccia di contadini che conducevano una vita faticosa ed estenuante, e convivevano con gli animali in abitazioni anti-igieniche e malsane. Una condizione di promiscuità abitativa purtroppo molto diffusa negli strati della popolazione legati alle attività agricole, fonte di altre malattie che, come vedremo, avrebbero continuato ad affliggere la città.

Come sempre accade, la realtà di quegli anni rimescola fatti ed avvenimenti. Alla curva epidemica del colera sempre più aggressivo si sommò una spinta risorgimentale che fece schizzare le presenze in città di 12.000 reclute per la famosa “Brigata Barletta” quando fu scelta come sede di reclutamento dell’Italia Meridionale di volontari combattenti per la terza guerra di indipendenza del 1866 al comando di Menotti Garibaldi, figlio dell’eroe dei due mondi. Più gente in città, più pericolo di contagio. E gli effetti dell’epidemia colerica causarono una rivolta a sfondo religioso. Colpendo Barletta, la tremenda infezione aveva generato sofferenze aggravate dalla siccità che quell’anno aveva prodotto un misero raccolto di grano, determinando fra la popolazione – specialmente quella meno abbiente – una grave penuria alimentare e una grande tensione sociale. Disperazione e angoscia si leggevano sui volti dei più: dopo l’epidemia, carestia e la superstizione, che fomentava odio verso gli evangelici, attribuendo loro le peggiori sventure: e la rivolta sfociò nel sangue con cinque innocenti uccisi. Era il 19 marzo 1866: un’altra (brutta) storia nella Storia…

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